Benvenuti!!
Dove ci incontriamo? : Sala parrocchiale (locale accanto alla chiesa di San Giovanni. Sulla porta è affissa la scritta "Sala parrocchiale").
Quando ci incontriamo? : Il Sabato sera alle ore 20.00.
Parrocchia San Giovanni Battista
IL GRUPPO GIOVANI
Il Gruppo Giovani con l'arcivescovo
martedì 16 marzo 2010
Invito tutti a partecipare all'ADORAZIONE EUCARISTICA che faremo VENERDI 19 MARZO alle ore 14 presso la Chiesa dell'Addolorata (di fronte al Campo Scuola) a Matera.
Saremo guidati da Don Rocco Pennacchio.
Partecipiamo numerosi e spargiamo la voce al massimo!
Grazie e scusate il disturbo, buon pomeriggio!
domenica 14 marzo 2010
La parabola di oggi ha un centro: il padre; attorno al padre si muovono le due vicende: cioè i due figli. I due figli sono due tentazioni della vita e noi talvolta assomigliamo al primo, tal volta al secondo, talvolta facciamo convivere la cattiveria di tutti e due.
Il primo figlio: costui esige ("dammi ciò che mi spetta") e il padre non si oppone; il figlio fugge da casa ed il padre, con il cuore stra ziato, permette che si allontani; il figlio va a divertirsi in modo banale e insulso e il padre permette che dissipi il frutto di tanto sudore, fatica, amore. Il padre resta sullo sfondo della vicenda: appare debole, invece è buono; sembra sconfitto, invece si muove con grande dignità.
Qui c'è la storia dell'uomo, tanta parte della storia dell'uomo: Dio non ferma l'uomo perché l'amore non può imporre; Dio non viola la libertà; Dio non si vendica mai. Siamo noi che fuggiamo, siamo noi che respingiamo, siamo noi che chiudiamo la porta: Dio mai farà questo! Dio è Amore e non potrà mai cambiare.
Ma ecco la novità, ecco l'imprevedibile svolta. Il figlio perde tutto, arriva al fondo dell'abisso, si accorge di aver giocato tutto stupidamente. Che può fare? O ostinarsi nella sua situazione, rifiutare il ritor no, rifiutare il perdono: e questo è l'inferno! Oppure, se il figlio vuole, può ritornare: ebbene se il figlio fa questo passo, se muove il passo verso la casa, del padre... allora accade qualcosa che per noi è difficile capire: accade la gioia di Dio, che Gesù chiama "festa in cielo per un peccatore che si pente".
Infatti quando il figlio si presenta al padre.... non trova rimpro vero, vendetta, sdegno. Dio non rinfaccia l'offesa: no, Dio gioisce e fa festa!
Evidentemente - a questo punto - Gesù vuoI dire: sappiate che Dio è così e io sono la prova ultima della Bontà di Dio.
La parabola pertanto è un invito: Se hai peccato, ritorna! Se hai tradito, ritorna! Se hai offeso fino al limite più infame, sappilo che Dio è pronto a ricominciare tutto daccapo. Quanta speranza dà questo pensiero: Non sarà mai Dio a respin germi!
Questo Vangelo di Cristo ci permette di capire perché la storia umana sia tanto complicata e, a prima vista, tanto assurda: dipende dal fatto che Dio lascia fuggire tanti figli, Dio lascia dissipare tanto bene perché Egli rispetta la libertà del l'uomo. Eppure in questo groviglio resta una certezza: Dio, fino all'ulti mo, ci cercherà e non sarà facile sfuggire al Suo amore!
Ma, ecco entra in scena il secondo figlio. È il figlio scandalizzato per la bontà del padre. Sembra che questo figlio abbia ragione, invece il suo comportamento è offensivo nei confronti del padre. Egli inventa scuse, come spesso si fa un po' tutti quando vogliamo giustificare le nostre cattiverie. Infatti anche se non è fug gito da casa, egli con il cuore non è mai stato in casa perché non pensa e non ama come suo padre. Questo figlio è ribelle come il primo: questo figlio è un problema per il padre, è una spina nel cuore del padre. Per questo figlio sarà più difficile tornare a casa, perché il suo peccato è nascosto dalla presunzione.
La parabola finisce così: "Figlio, ritorna anche tu!".
sabato 13 marzo 2010
Creatore ineffabile, che dai tesori della tua sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli, le hai collocate con meraviglioso ordine sopra il cielo empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo; Tu, che sei celebrato come autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e supremo Principio di ogni cosa, dégnati di infondere sulle tenebre del mio intelletto il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza.
Tu, che rendi faconde le lingue degl’infanti, istruisci la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione. Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la capacità della memoria, il modo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare. Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
mercoledì 10 marzo 2010
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
La giustizia di Dio si è manifestata
per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22)
Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Quest’anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall’affermazione paolina: La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo (cfr Rm 3,21-22).
Giustizia: “dare cuique suum”
Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine “giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare a ciascuno il suo - dare cuique suum”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l’uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: potremmo dire che l’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant’Agostino: se “la giustizia è la virtù che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell’uomo quella che sottrae l’uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21).
Da dove viene l’ingiustizia?
L’evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è impuro: “Non c'è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro... Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei farisei una tentazione permanente dell’uomo: quella di individuare l’origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsisopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?
Giustizia e Sedaqah
Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfrEs 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è “sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?
Cristo, giustizia di Dio
L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25).
Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.
Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare.
Proprio forte di questa esperienza, il cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini e dove la giustizia è vivificata dall’amore.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest’anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia. Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l’Apostolica Benedizione.
Dal Vaticano, 30 ottobre 2009
BENEDICTUS PP. XVI
giovedì 25 febbraio 2010
lunedì 22 febbraio 2010
Miei carissimi sacerdoti, diaconi, seminaristi, sorelle e fratelli tutti,l’appuntamento annuale della Quaresima mi permette di manifestare a ciascuno divoi l’espressione più profonda della mia paternità episcopale col proporvi, dinanzial Paschale sacramentum che ci prepariamo a celebrare al termine di questo tempofavorevole, alcune riflessioni che spero sollecitino ad una maggiore responsabilità econsapevolezza di vita cristiana.1. Il mistero dell’iniquità si svela alla luce del Mistero della pietà.La sollecitudine pastorale mi invita ad essere vigile, in mezzo al popolo che Dio miha affidato, perché nessuno si smarrisca soprattutto dinanzi al momento di particolareansietà che viviamo. Da un lato prendiamo atto che la speranza di chi aveva puntatotutto nella propria vita sull’economia, che ancora oggi stenta a riprendersi, ha lasciatonon solo confusi ma anche disorientati per la mancanza di occupazione lavorativa e diconseguenza per la difficoltà del vivere quotidiano. Dall’altro constatiamo come la naturaci riserva ancora all’improvviso delle tristi sorprese, dall’indimenticabile terremotodell’Abruzzo a quello tragico di Haiti, calamità naturali che lasciano umanamente sbigottitie nel lutto. A questo si aggiungono i disastri compiuti dagli uomini con le guerre,il terrorismo, l’odio razziale e la mancanza di leggi adeguate per la salvaguardia delcreato.Il vivere sociale poi, se lo osserviamo attentamente, non ci procura minore apprensioneper i cambiamenti così repentini del modo di vivere e del pensare comune. Ho timore,inoltre, che i singoli e la società non si confrontino più nella maggior parte dei casi conla Parola di Dio, ma hanno altri punti di riferimento che talvolta non sono neppure insintonia con la legge naturale. Incontrando molte persone nella mia vita di sacerdotee vescovo, mi sono sentito porre in maniera ricorrente queste domande: se Dio è infinitamentebuono e tutte le sue opere sono buone, perché nessuno sfugge all’esperienzadella sofferenza, dei mali presenti nella natura e soprattutto al problema del malemorale? Da dove viene il male? Che cosa è il peccato originale? Il catechismo dellaChiesa Cattolica afferma: “la realtà del peccato, e più particolarmente del peccato delleorigini, si chiarisce soltanto alla luce della rivelazione divina. Senza la conoscenzadi Dio che essa ci dà, non si può riconoscere chiaramente il peccato, e si è tentato dispiegarlo semplicemente come un difetto di crescita, come una debolezza psicologica,un errore, come l’inevitabile conseguenza di una struttura sociale inadeguata, ecc.Soltanto conoscendo il disegno di Dio sull’uomo, si capisce che il peccato è un abusodi quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsireciprocamente” (CCC 387). Il mistero dell’iniquità (2Ts 2,7) si svela soltanto alla lucedel Mistero della pietà (1Tm 3,16) e permette al cristiano, che desidera raggiungere lapienezza della vita in Cristo, di comprendere il significato e soprattutto l’importanzadel tempo liturgico della Quaresima.2. “Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristotutti riceveranno la vita” (1 Cor 15,22)Il libro della Genesi, nelle pagine iniziali, sottolinea con il suo linguaggio e le sueimmagini che la creazione è un grande atto di amore di Dio. È l’espressione massimadella sua bontà infinita che straordinariamente si manifesta soprattutto nella creazionedell’uomo: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza” (Gen1,26). Viene stabilito così con lui un rapporto di amicizia, unico nel creato, a tal puntoda collocarlo al vertice stesso della creazione: “domini sui pesci del mare e sugli uccellidel cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici su tutti i rettili che strisciano sullaterra” (Gen 1,26). “Creatura spirituale, l’uomo non può vivere questa amicizia che comelibera sottomissione a Dio. Questo è il significato del divieto fatto all’uomo di mangiaredell’albero della conoscenza del bene e del male, perché – dice il Signore – nel giornoin cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire (Gen 2,17)“ (CCC 396). Possiamo cosìstabilire che la fonte da cui nasce tutta la creazione è buona, Dio-creatore è senza ombradi male, e “perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo e una donna, èbuona la vita. Il male non viene dalla fonte dell’essere stesso, non è ugualmente originario.Il male viene da una libertà creata, da una libertà usata (…). Il male viene da unafonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato.Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile” (Benedetto XVI, Udienza Generale del 3.12.2008).2.1. Il racconto della caduta.Il racconto della caduta, al capitolo terzo del libro della Genesi, ci permette di capireche dietro la scelta disobbediente di Adamo ed Eva c’è una voce seduttrice che si opponea Dio (cfr Gen 3, 1-5). Dio è bontà infinita, bene assoluto. Il male non viene da Lui,ma da una fonte subordinata e creata per il bene, trasformatasi in una concreta realtàmalvagia che ha rifiutato Dio e il suo Regno (cfr 2Pt 2,4). “La Scrittura e la Tradizionedella Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo”(CCC 391) che non prevalse e non vi fu più posto per lui in cielo (cfr Ap 12,8). La voceseduttrice convincerà Adamo ed Eva a mangiare dell’albero facendo loro credere dipoter superare quel limite invalicabile della conoscenza del bene del male, che l’uomoin quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare (cfr CCC 396).“In questo è consistito il primo peccato dell’uomo. In seguito, ogni peccato sarà unadisobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà” (CCC 397).2.2 . Le conseguenze del primo peccato.La conseguenza, per Adamo ed Eva, di questa prima disobbedienza è la perdita dellagrazia della santità originale: “Il Signore chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?».Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino, ho avuto paura, perché sono nudo, e misono nascosto»”(Gen 3,9-10). Nasce la paura in quel Dio di cui si erano fatti una falsaimmagine: “Il serpente disse alla donna: «non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giornoin cui ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo ilbene e il male»” (Gen 3,4-5). È distrutta l’armonia nella quale erano stati posti: “Allorasi aprirono gli occhi di tutte e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie difico e se ne fecero cinture” (Gen 3,7). È sottoposta a tensioni l’unione tra l’uomo e ladonna (cfr Gen 3,11-13). È spezzata l’armonia con la creazione che diventa ostile. Diodisse all’uomo “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’alberodi cui ti avevo comandato: non devi mangiarne, maledetto il suolo per causa tua! Condolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te emangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritorneraialla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!”(Gen 3,17-19). Entra nella storia dell’umanità la morte “Come a causa di un solo uomoil peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini siè propagata la morte, poiché tutti hanno peccato…” (Rm 5,12). L’uomo, creato in unostato originario di santità, era destinato ad essere pienamente divinizzato da Dio nellagloria, ma facendosi sedurre dalle lusinghe del diavolo e volendo diventare come Dio(cfr Gen 3,5), si è anteposto a Dio ed è diventato senza Dio e non secondo Dio (cfr CCC398).La sacra Scrittura, dopo questo primo peccato, ne testimonia in seguito le concreteconseguenze che vanno dal fratricidio di Caino contro Abele fino a tutte le infedeltà deisingoli e del popolo d’Israele verso il Dio dell’Alleanza. San Paolo illustra chiaramentequesta reale situazione “per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituitipeccatori” (Rm 5,19). Ma con la stessa certezza l’Apostolo afferma “come dunque per lacaduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’operagiusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita” (Rm 5,18).“Cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questopeccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Sitratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè conla trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali”(CCC 404).2.3. La relazione tra Adamo e Cristo.San Paolo delinea nelle pagine della Lettera ai Romani (5,12-21) la relazione che intercorretra Adamo e Cristo: il confronto tra l’atto di disobbedienza del primo che introduceil peccato e le sue conseguenze per l’umanità, con l’atto di obbedienza di Cristoche porta la salvezza e la liberazione dell’uomo. La consapevolezza maturata nella fede della Chiesa del dogma del peccato originale, è inscindibilmente legata a quelladella Redenzione operata da Cristo che, con la grazia del Battesimo, cancella il peccatooriginale e volge di nuovo l’uomo verso Dio. Le conseguenze, però, del peccatooriginale sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocanoal combattimento spirituale (cfr CCC 405)2.4. La contraddizione che permane nell'uomo.Tale contraddizione, che permane nel nostro essere nonostante la grazia della Redenzione,desidero chiarirla prendendo il pensiero che Benedetto XVI ha manifestato inuna catechesi dell’Udienza Generale “da una parte ogni uomo sa che deve fare il benee intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello steso tempo, sente anche l’altro impulso difare il contrario, di seguire la strada dell’egoismo, della violenza,di fare solo quanto glipiace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. SanPaolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro esserecosì: c’è in me il desiderio del bene, ma non ho la capacità di attuarlo; infatti io noncompio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,18-19). Questa contraddizioneinteriore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. Esoprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Bastapensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ognigiorno lo vediamo: è un fatto” (Udienza Generale 3.12.2008).Questa divisione presente nella coscienza dell’uomo, che Benedetto XVI definisce contraddizione,dobbiamo sempre tenerla presente, soprattutto noi pastori, nell’azione pastoraledella nostra Chiesa di Matera-Irsina. Quali “amministratori dei misteri di Cristo”(1Cor 4,1), dobbiamo avere un lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e sul suoagire nel mondo, per poterlo indirizzare verso la Redenzione e liberazione operatada Cristo, Nuovo Adamo (cfr 1Cor 15,45), con la sua morte-resurrezione-ascensione alcielo. “Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errorinel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi” (CCC 407).Questa chiara visione dell’uomo e del contesto in cui vive è stata messa chiaramentea fuoco in una pagina della Gaudium et Spes: “Tutta intera la storia umana è infattipervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre: lotta incominciata findall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inseritoin questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene,né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiutodella grazia di Dio” (GS 37).3. “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15)Il mercoledì delle Ceneri dà inizio al tempo di Quaresima. Essa con l’imposizione delleceneri e le parole: “Convertitevi e credete al Vangelo”, permette alla natura feritadell’uomo di incamminarsi verso la conversione. È necessario che il credente tenga losguardo fisso al Sacrificio di salvezza compiuto da Cristo Gesù che, con la sua obbedienza al Padre, restaura ciò che il peccato aveva deteriorato e lascia “una tracciaprofonda nella vita umana” (Colletta, lunedì 1^ sett. di Quaresima).Chi crede e vive in Cristo Gesù diventa figlio di Dio. “Questa adozione filiale lo trasformadandogli la capacità di seguire l’esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamentee di compiere il bene. Nell’unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge laperfezione della carità, cioè la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sbocciain vita eterna, nella gloria del cielo” (CCC 1709). In Cristo Gesù, con la sua Pasqua diRedenzione e Salvezza, si realizza pienamente il progetto di amore misericordioso diDio-creatore che, dopo la caduta, non ha abbandonato l’uomo, ma al contrario hadato inizio a quella storia di salvezza tutta protesa alla vittoria sul male: “Io porrò inimiciziafra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tule insidierai il calcagno” (Gen 3,15). “Felice colpa, che ha meritato un tale e così grandeRedentore” (Exultet), e con San Paolo possiamo anche noi esclamare: “Dove abbondò ilpeccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).3.1. “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20).Il tempo sacramentale della Quaresima “è un cammino di vera conversione per affrontarevittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito delmale” (Colletta, mercoledì delle Ceneri). L’esercizio della penitenza quaresimale, segnatoesteriormente con l’austero simbolo delle ceneri e vissuto nei quaranta giorni ricevuti indono dalla liturgia, ci ottenga “il perdono dei peccati e una vita rinnovata a immaginedel Signore risorto” per giungere “completamente rinnovati a celebrare la Pasqua”(Orazione di benedizione delle Ceneri). Siamo invitati a rispondere all’invito che ci vienedall’Apostolo Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”(2Cor 5,20). Il brano del Vangelo del mercoledì delle Ceneri (Mt 6,1-6.16-18) ci indica igesti da compiere per ritornare a Dio, nella verità e nella profondità del cuore, e tonificarela nostra vita interiore: il digiuno, la preghiera e la carità. L’uomo, mortificando ilcorpo con il digiuno quaresimale, astenendosi non solo dal cibo smodato ma anche datutto ciò che distrae dall’amore di Dio, “si rinnova nello spirito con il frutto delle buoneopere” (Colletta, mercoledì 1^ sett. di Quaresima). All’osservanza esteriore, che caratterizzaquesto atteggiamento di distacco da ciò che allontana da Dio, “corrisponda un profondorinnovamento dello spirito” (Colletta, venerdì dopo le ceneri), con una preghiera piùprofonda e costante che ci apra totalmente a Dio nella lode per avere la capacità diosservare il comandamento dell’amore per il prossimo.3.2. “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4).Questo itinerario liturgico verso la Pasqua ha inizio con due momenti qualificanti la vitae la missione di Gesù: le tentazioni (1^ domenica di Quaresima) e la Trasfigurazione (2^ domenicadi Quaresima). La tentazione del maligno appartiene all’esperienza umana; Gesùsubendo la tentazione nel deserto ci mostra che è possibile superarla senza cedere allesue lusinghe, confidando non sulle forze umane, ma unicamente in Dio. Gesù infatti altentatore rispose: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dallabocca di Dio” (Mt 4,4). La Trasfigurazione è manifestazione anticipatrice della gloriadel Risorto. Per noi, che percorriamo il cammino quaresimale con una revisione attentadella nostra vita, risuona il pressante appello a lasciarci quotidianamente trasformaredal Cristo Trasfigurato. “O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutrila nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamogodere la visione della tua gloria” (Colletta, 2^ domenica di Quaresima).Il sacramento della Riconciliazione è un dono del Padre buono (4^ domenica di Quaresima)che dobbiamo riscoprire e intensificare nel tempo di quaresima, sull’esempio delsanto Curato d’Ars, per sperimentare la misericordia donata da Dio per mezzo del suoFiglio Gesù. “Padre buono e grande nel perdono accogli nell’abbraccio del tuo amoretutti i figli che tornano a te con animo pentito; ricoprili con lo splendore delle vesti disalvezza, perché possano gustare la gioia nella cena pasquale dell’Agnello” (Colletta,4^ domenica di Quaresima). Il cristiano, che sperimenta l’amore misericordioso del Padrebuono, non è più prigioniero del suo passato (5^ domenica di Quaresima) e neppure paralizzatodal maligno, difatti la passione-morte-risurrezione di Gesù non solo è fontedella vera liberazione dell’uomo, ma anche di una vita nuova che nasce dal perdonoricevuto “Neanch’io ti condanno: và e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11).4. Camminiamo insieme per crescere nella santitàCarissimi, vi lascio con queste mie semplici riflessioni proponendole alla vostra attenzione,perché possiate sentirmi vicino nei giorni quaresimali che ci vengono donati dallaChiesa per prepararci accuratamente alla Pasqua del Signore. Siamo giunti a metàdell’anno Pastorale, piccolo pezzo della storia della salvezza incarnata nel territoriodella nostra Chiesa locale. Mentre continuiamo a coinvolgere le famiglie come soggettonon occasionale ma essenziale nell’itinerario di fede, per rendere la parrocchiauna grande famiglia, si delinea l’esigenza per la nostra comunità diocesana della miaprima Visita Pastorale. Essa richiederà un impegno di corresponsabilità da parte ditutti. Pertanto ritengo sia indispensabile rivolgere lo sguardo verso Dio Padre; riempireil cuore della Parola del Figlio suo Gesù Cristo; permettere allo Spirito Santo di agireprofondamente nel nostro essere, nelle nostre famiglie, nella nostra Chiesa diocesana,per essere veramente testimoni di Cristo Risorto, Speranza dell’umanità.A Maria, Vergine della Bruna, patrona della nostra comunità diocesana, affido il camminodi conversione e di crescita spirituale nella santità.